La simbologia del numero tre è pressoché infinita e riscontrabile nei miti di tutte le civiltà in tutte le latitudini ed e considerato il “numero perfetto”, in quanto espressione della Triade o Trinità; è il simbolo spirituale della pianta che allunga i suoi rami (triforcazione) e i Pitagorici lo consideravano sacro perché permette di tracciare il triangolo, figura perfetta.
Limitandoci alla mitologia greca, le Parche, le Furie, le Grazie, erano sempre in numero di tre. Il Tre, è il prodotto dell’unione tra l’Uno, il principio attivo e il Due, il grembo che accoglie la creazione. Possiamo definirlo il primo prodotto del pensiero che si moltiplica e si espande; racchiude in sé sia il concetto di unione sia quello di espansione. La simbologia del numero tre si codifica nelle arti visive attraverso la lunga tradizione del “trittico” che dagli albori dell arte cristiana continua e si diffonde nell arte bizantina e gotica sino all arte moderna. In qualche modo, basti pensare al trittico delle Ninfee di Monet al MoMA di New York o ai celebri trittici di Francis Bacon o di Cy Twombly, la ripartizione in tre funge da trait d’union tra la storia della pittura e la sperimentazione del presente.
Cos’è THREE TRIPTYCHS
In questo contesto, la mostra Three Triptychs alla Intragallery presenta tre variazioni su tema sulla tradizione compositiva del trittico da parte di tre artisti britannici, di generazioni e percorsi diversi, ma legati da un interpretazione critica del medium pittorico, rivisitato in chiave architettonica e tridimensionale. Il lavoro di David Batchelor si focalizza sul rapporto con il colore generato dell’ambiente urbano e sottolineato da come li vediamo e come reagiamo alle loro sollecitazioni fisiche e psicologiche nell era tecnologica in cui viviamo. Nel trittico per la mostra alla Intragallery l’artista ha raccolto una serie di vecchi light boxes, di quelli che in genere pubblicizzano negozi e ristoranti (e che, si dice, siano una delle principali fonti di colore in una città), li ha ripuliti e montati in modo da formare delle installazioni verticali. I colori provenienti dai light boxes si riflettono contro la parete e il pubblico li percepisce vedono solo attraverso il loro riflesso. Un tramonto artificiale e sublime al contempo, esperito attraverso la skyline delle scatole e della loro disposizione casuale. La potenzialità visiva e psicologica del colore caratterizza anche il lavoro di Rachel Howard, la carica emotiva di come la pittura viene applicata ad una tela, la riproduzione dello stato della mente e del corpo mentre il quadro viene dipinto. I rapporti di scala, spazio e profondità sono anche notevolmente importanti per l’impatto di queste opere. Nelle sue opere più recenti viene specificamente esplorato il rapporto di continua alternanza tra sfondo e primo piano. Nel trittico per la mostra da Intrgallery, Howard alterna e accosta senza ruoli o gerarchie tre momenti e adagi della pittura contemporanea, figurazione, astrazione e la rappresentazione bidimensionale a parete di un oggetto tridimensionale, in questo caso una stampella per vestiti, che ironicamente richiama all’appendiabiti di Trap (1917) di Marcel Duchamp. Nel lavoro di Henrietta Labouchere, si assiste ad un processo di accumulazione e cancellazione costante di segni e di suggestioni, di sfumature cromatiche e di tracce di figurazione, elaborate e dilatate nel tempo, che danno vita ad una rappresentazione e ad una interpretazione indipendente. Nel trittico per la mostra ad Intragallery, i tre pannelli liberamente ispirati ai tessuti dei kosode e ai paraventi giapponesi del periodo Edo vengono esposti in una sequenza crescente, allineandoli dal basso – la loro massa e il loro spessore contrastano con l’eterica leggerezza della loro esposizione parietale. Partendo dall’idea degli orli dei kosode, l’artista nella preparazione dei pannelli ha scelto dodici colori tipici dei kimono d’epoca Edo, applicando molti strati di colla di coniglio, dipinti con tonalità tali che alla fine, attraverso un sofisticato processo di levigatura, comparissero piccoli segni come delle cicatrici. (Mario Codognato)
Con il patrocinio dell’Ambasciata Britannica Roma