EUTANASIA, DJ FABO E LA SUA SCELTA DI ANDARSENE

by Gloria Esposito
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Dj Fabo libero

Si è spento ieri in Svizzera, sottoponendosi all’eutanasia, Dj Fabo dopo un lento calvario che l’aveva reso tetraplegico e cieco e immobile in un letto.

Ad un certo punto, quindi, non si è trattato più della questione se fosse più o meno giusto scegliere di morire, che aspetta alla sensibilità e alle convinzioni di ognuno, ma una volta presa questa decisione – se le condizioni in cui si versa sono talmente gravi da ridurre la propria aspettativa di vita praticamente a quella di un vegetale- bisogna trovare un modo “umano” e dunque dignitoso di morire, magari, dicendo addio a questa vita con l’affetto dei propri cari intorno.

Se c’è quindi un insegnamento, che deve toccare la sensibilità di ognuno – perché la morte è parte della vita quanto quella della nascita e tocca a tutti prima o poi – che ci ha lasciato DJ FABO è proprio questo: non c’è vera libertà se non la si può esprimere fino alla fine e, quindi, anche oltre.

Dj Fabo, una testimonianza importante

In una delle ultime interviste in cui DJ Fabo faceva presente come chi ha amato la vita come l’ha amata lui, non può sottomettersi ad un destino di immobilizzazione progressiva quale quella che l’ho obbligato per anni a stare in letto e che con la cecità non ha fatto altro che isolarlo e ricordagli ogni giorno la sua grama condizione, ha denunciato uno stato dei fatti difficile: in Svizzera è possibile terminare la propria vita con l’eutanasia ma soprattutto, una volta che si decide di andare a morire all’estero (sostenendo non solo spese ma anche costi di ordine psicologico, quale lo sradicamento rispetto al proprio ambiente di relazioni umane) non si può essere accompagnati da alcun amico o parente che voglia sostenerti nell’ultimo viaggio.

Per lo Stato italiano, infatti, potrebbe configurarsi un reato a loro carico di “aiuto” al suicidio, con pene previste anche di 12 anni di carcere.

Proprio per questo, probabilmente, DJ Fabo non poteva morire. Non perché non volesse o avesse ancora rimpianti ma per il semplice fatto che un qualsiasi aiuto da parte di persone a lui care che volessero accompagnarlo nell’ultimo capitolo della sua vita rendendogli più lieve l’inevitabile passaggio potesse configurare per loro una grave responsabilità.

Alla fine, DJ FAbo ha trovato comunque conforto rendendo una testimonianza del proprio calvario accompagnato a sottoporsi all’eutanasia da Marco Cappato dei Radicali Italiani ed esponente dell’Associazione Luca Coscioni che twittava: “Alle 11,40 se ne è andato con le regole di un Paese che non è il suo. Domani al mio rientro in Italia andrò ad autodenunciarmi per il reato di aiuto al suicidio”.

I messaggi di DJ Fabo e Marco Cappato

L’ultimo messaggio di DJ Fabo, arrivato tramite Twitter, attraverso l’Associazione Coscioni, prima di sottoporsi al suicidio assistito in una clinica Svizzera, è stato questo: “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille”.

Dj Fabo, già da tempo e in diversi appelli alle istituzioni italiane aveva chiesto di regolamentare – come già succede all’estero in maniera “stringente”, ad es. in Svizzera – l’eutanasia, che in una progressione dei diritti (le libertà civili – si insegna a scuola- fanno parte di una “lista aperta”, che si deve aggiornare di nuove conquiste al passo con i tempi e con le nuove consapevolezze di quali siano i fondamentali di ogni essere umano) dovrebbe essere oggetto delle regole che uno Stato deve dettare, in quanto teoricamente sensibile a ciò che chiede l’evoluzione della società odierna.

Ieri è morto Dj Fabo ma non la sua testimonianza su cosa voglia dire vivere e morire con dignità durerà, anche se al di fuori, magari, delle personalissime scelte di ognuno.

“Fabo è libero, la politica ha perso”, avevano poi dichiarato Marco Cappato e Filomena Gallo della Associazione Luca Coscioni. “L’esilio della morte è una condanna incivile” infatti “compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali per affrontare una disperazione data dall’impossibilità di decidere della propria vita morte. Chiediamo che il Parlamento affronti la questione del fine vita per ridurre le conseguenze devastanti che questo vuoto normativo ha sulla pelle della gente”.

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