Le indagini economiche, i bilanci tra UE e governo, parlano soprattutto di numeri, indici, tassi, statistiche, parole che nella vita di tutti i giorni poca azione hanno nella vita di ciascuno di noi, eppure dietro la spending review, i tagli sul personale, si nascondono tante storie . Sono le storie dei nuovi poveri, delle famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, della disperazione di un cinquantenne, o giù di lì, inesorabilmente troppo vecchio per il lavoro, troppo giovane per la pensione, oppure del separato che non riesce a sbarcare il lunario o affittare una nuova casa. Tra queste mille storie è pervenuta la storia di Abramo Zampella, che ha chiesto aiuto alla nostra redazione per aver voce e forse, per meglio dire, un minimo di giustizia. Una storia toccante che vive il suo dramma nel silenzio della disperazione del tram tram di tutti i giorni che preferiamo sia raccontata dalla lettera che lo stesso protagonista ci ha fatto pervenire.
“Gentile direttore, le scrivo sperando che questa lettera, pubblicata, smuova le acque. Ci sto provando da tre anni e nessuno mi ascolta. Ma io sto ancora qui! Spero che accettiate di pubblicare la mia storia: una vera e propria richiesta di aiuto in modo da far conoscere ancora di più e ad un numero maggiore di persone la nostra vicenda, nella speranza che qualcosa migliori. Di “speranza“, specialmente dopo determinati episodi che si sentono e si vedono sempre più frequentemente, dopo che le persone grazie a questo Stato che non ci aiuta preferiscono togliersi la vita, ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano,in questi tempi dove davanti al dolore, alla sofferenza , ci sentiamo persi e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che… questo buio non debba mai finire. E non si tratta solo delle discriminazioni in cui ci troviamo a vivere ogni giorno noi famiglie “disabili”: molte di queste le risolviamo con il nostro ingegno. Ma purtroppo non tutti gli ostacoli possono essere superati con la buona volontà ed è per questo che chiedo il vostro interessamento. Anzitutto ringrazio Dio per tutto quello che ho: Serena è la cosa più bella che mi ha donato. A volte puo’ succedere che la malattia soprattutto quella grave, quella che non ha soluzioni, metta in crisi e porti con se interrogativi che scavano in profondità. Il primo istinto può essere quello della ribellione, perché a me è capitato! Ma bisogna avere fede mi dico, andando avanti. Serena ha una malattia che la mortifica, la limita nei movimenti: ha la Distrofia Muscolare tipo Becker (DMB). (Attualmente non esiste alcuna possibilità di cura che conduca alla guarigione ma solo terapie che permettono di prevenire le contratture, di migliorare la postura e di contenere asimmetrie, lordosi e scoliosi, ndr). Si tratta di una malattia che ho definito scostumata, senza educazione, che non ti avverte quando viene a trovarti, ma che fino ad oggi fa la visita di cortesia e se ne va dandoti appuntamento alla prossima volta. Ma dobbiamo conviverci per forza, non abbiamo alternative. Anzi, più lei è aggressiva e cattiva più noi la combattiamo con forza. Perché la malattia non porta via le emozioni, i sentimenti, la possibilità di capire che la persona vale molto di più del fare. Insomma la sofferenza ci ha reso più forti, il non volersi arrendere è diventato un valore aggiunto nel nostro percorso di vita. Questo fino al dicembre 2013, quando sono incominciati i nostri problemi: fino a quel momento non ci potevamo rimproverare di niente e neanche la malattia ci faceva paura. Ma dall’oggi al domani mi sono trovato senza lavoro e a capire piano piano che a 44 anni il mondo può anche finire e che per me sta diventando un problema anche portarla alla Antares a Caserta per fare le terapie. Ho parlato col sindaco di Caivano e ho scritto più volte al sindaco di Napoli, ho lanciato una petizione a mio nome su change.org, ho inviato curriculum, richieste di aiuto a tutti gli imprendotori caivanesi, televisione: ma ad oggi nessun risultato. Ho parlato con l’assistente sociale del mio Comune, con la responsabile dei lavori socialmente utili, agenzie di lavoro interinali ma ho ricevuto solo non risposte che sono sinonimo di una indifferenza che fa paura. Ricevere risposte del tipo: “Vi faremo sapere, non vi preoccupate, al più presto vedremo, i tempi sono maturi, mi invii il suo curriculum”. E allora mi sono domandato cosa posso fare per cercare di scuotere la coscienza di qualche brava persona che in qualche modo comprenda il problema e mi dia la possibilità di tornare a fare quello che ho sempre fatto? Tornare a lavorare e a pensare a fare, ogni giorno, qualche cosa in più per Serena. Per arrivare a non dovermi rimproverare un giorno che lo potevo fare e che per mentalità non l’ho fatto. Cerco insomma qualche anima buona che ci aiuti a non arrenderci”.
Per firmare la petizione basta cliccare qui.