Giovedì 11, venerdì 12 e sabato 13 luglio alle 21.00
al Teatro Grande del sito archeologico di Pompei
va in scena
Fedra. Ippolito portatore di corona
di Euripide nella traduzione di Nicola Crocetti
con la regia dello scozzese Paul Curran
spettacolo conclusivo della settima edizione
della rassegna Pompeii Theatrum Mundi.
«Questa storia senza tempo fa luce sulle ansie contemporanee legate alla salute mentale e sui pericoli derivanti da ossessioni malsane e incontrollabili».
Approda al Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei, giovedì 11 luglio alle 21.00 – in replica venerdì 12 e sabato 13 – l’allestimento firmato dal 59enne regista di Glasgow (Regno Unito) Paul Curran della Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide nella traduzione di Nicola Crocetti.
Accolto con successo lo scorso maggio al Teatro Greco di Siracusa su produzione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, lo spettacolo vede in scena una straordinaria compagnia di interpreti che, in ordine di apparizione, è composta da Ilaria Genatiempo, nel ruolo di Afrodite, Riccardo Livermore, in quello di Ippolito, Sergio Mancinelli un servo, Gaia Aprea la Nutrice, Alessandra Salamida Fedra, Alessandro Albertin Teseo, Marcello Gravina il Messaggero, Giovanna Di Rauso Artemide.
Con loro, le Corifee Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano e il Coro di donne di Trezene Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella.
Le scene e i costumi sono di Gary McCann, la direzione del coro di Francesca Della Monica, la responsabile del coro Elena Polic Greco, le musiche del coro inziale sono di Matthew Barnes, le musiche dello spettacolo di Ernani Maletta, il disegno luci è di Nicolas Bovey, video design Leandro Summo, drammaturgo Francesco Morosi.
«L’antica narrazione di Fedra – dichiara il regista Paul Curran – riecheggia con sorprendente attualità nel contesto odierno».
«Questa storia senza tempo – prosegue Curran – fa luce sulle ansie contemporanee legate alla salute mentale e sui pericoli di ossessioni malsane e incontrollabili, per non parlare delle conseguenze delle reazioni emotivamente cieche.
Il racconto serve come un toccante promemoria per esaminare se gli “dei” figurativi che influenzano le nostre vite sono paralleli ai nostri attuali stati mentali o se le nostre menti esercitano il potere di potenti divinità, guidandoci verso comportamenti impulsivi e pericolosi. Esplorando questa connessione tra mitologia antica e psicologia moderna, la storia di Fedra diventa uno specchio che riflette l’intricata relazione tra il nostro io interiore e le forze esterne che modellano le nostre azioni. Questa narrazione spinge all’introspezione, sfidandoci a decifrare la natura divina o distruttiva dei nostri pensieri e delle nostre emozioni nel complesso arazzo dell’esperienza umana».
Teatro Grande Parco Archeologico di Pompei
11, 12, 13 luglio ore 21.00
FEDRA
IPPOLITO PORTATORE DI CORONA di Euripide
traduzione Nicola Crocetti
regia di Paul Curran
personaggi e interpreti
AFRODITE|Ilaria Genatiempo
IPPOLITO|Riccardo Livermore
UN SERVO|Sergio Mancinelli
NUTRICE|Gaia Aprea
FEDRA|Alessandra Salamida
TESEO|Alessandro Albertin
MESSAGGERO|Marcello Gravina
ARTEMIDE|Giovanna Di Rauso
CORIFEE:
Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano
CORO DI DONNE DI TREZENE: Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala,
Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella
scene e costumi|Gary McCann
direzione del coro|Francesca Della Monica
responsabile del coro|Elena Polic Greco
musiche coro inziale|Matthew Barnes
musiche spettacolo|Ernani Maletta
disegno luci|Nicolas Bovey
video design|Leandro Summo
drammaturgo|Francesco Morosi
produzione INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico
durata: 1h e 40’
info: www. teatrodinapoli.it
Fedra. Ippolito portatore di corona
di Euripide
CHE COS’È QUELLA COSA CHE CHIAMANO AMORE
Note di regia
«Nel momento supremo della rivelazione dei suoi sentimenti per Ippolito, Fedra chiede alla nutrice: “Che cos’è quella cosa che chiamano amore?”. Questa domanda, mi sembra, è anche una buona indicazione del tema dell’Ippolito portatore di corona di Euripide: il tentativo di definire che cosa sono l’amore e le sue conseguenze.
Proviamo allora a rispondere anche noi alla domanda di Fedra. Nell’Ippolito, l’amore non è tanto il sentimento radioso, nitido e limpido, volutamente depurato da ogni elemento fisico, che una civiltà sessuofoba ci ha imposto nei secoli; nella tragedia di Euripide, l’eros è desiderio carnale, ossessione, rovina. Afrodite, la dea che avvia l’azione e di cui si celebrerà il trionfo, è la forza vitale da cui tutto nasce nel mondo; non è trasgressione ma è la base stessa del cosmo e della società umana. Ed Eros è il suo agente terribile e onnipotente: “aleggia su tutta la terra e sulle onde del mare ruggente, incanta i cuori impazziti e in volo li assale come la luce che rifulge dall’oro – i figli dei monti e dei mari, le bestie che nutre la terra e che illumina il sole splendente, e così anche gli uomini”. Fedra è scossa da una sessualità aggressiva e violenta, che devasta il suo corpo e la terrorizza; ma anche Ippolito, per me, è un personaggio sensuale.
Sensuale, non sessuale: la sua astensione completa dal sesso, infatti, non comporta una scelta integralmente ascetica, di completa rinuncia alle cose del mondo. Ippolito, anzi, è pieno di passioni: figlio del re di Atene, cresciuto nel palazzo di Pitteo, è giovane, prestante e bellissimo, adora le corse dei cavalli e la caccia (due passioni molto costose!), è sempre accompagnato da una folla di ragazzi suoi coetanei, la sua devozione per Artemide è gioiosa e vitale, una vera amicizia.
Ma l’Ippolito non è una semplice celebrazione vitalistica della passione d’amore. Al contrario: è un’indagine inquietante delle contraddizioni dell’eros.
Nella tragedia, e soprattutto nella vicenda di Fedra, l’eros è una spaventosa forza di contraddizione: nel tentativo di Fedra di reprimerlo, o al limite di tenerlo segreto, l’eros è desiderio e al tempo stesso repressione, negazione e affermazione, libertà e costrizione. E infatti è contraddizione anche nella risposta che la nutrice dà alla domanda di Fedra: “La cosa più dolce, bambina, e la più dolorosa insieme”. È un’energia devastante, come sintetizza anche il Coro: “Tremendo è il suo soffio che travolge ogni cosa”.
Nella nostra messa in scena, siamo partiti proprio dall’esplorazione di queste due forze in opposizione. Nella tragedia di Euripide, questi due impulsi – la passione bruciante del desiderio, e il potere della repressione – sono incarnati da due divinità che aprono e chiudono il dramma: Afrodite, la dea dell’amore, e Artemide, la dea vergine. Queste due forze in guerra, che i Greci divinizzavano e visualizzavano come energie esterne all’individuo, sono a tutti gli effetti, per uno spettatore contemporaneo, impulsi interni alla mente di ciascuno.
Per questo al centro della scena campeggia un’enorme testa di donna, su cui nel corso dello spettacolo gli spettatori vedranno proiettati i volti di Fedra e di Afrodite: il nostro Ippolito disvela, porta all’esterno, ciò che c’è di più intimo nell’animo umano.
Attorno alla testa, un sistema di impalcature ci dà una sensazione ambigua: non sappiamo dire con certezza se il cuore di Fedra, e il palazzo del re, siano in costruzione o in rovina. Come la testa di Fedra, anche noi, oggi, siamo bombardati dalle continue provocazioni dell’eros, tramite messaggi più o meno subliminali: anche la testa di noi contemporanei è invasa, e talvolta devastata, da Afrodite.
Il nostro spettacolo vuole parlare anche alle esperienze del nostro tempo, oltre che riflettere il contesto e la mentalità in cui questo testo è stato prodotto per la prima volta.
Ma Ippolito non è solo la tragedia di Fedra. È anche la tragedia di un padre e di un figlio, Teseo e Ippolito. Nel rapporto tra il figlio illegittimo e il padre che, ingannato, lo condanna a morte vedo una dinamica fondamentale dell’umanità, che innerva tutta l’azione tragica e le dà senso: il conflitto irresolubile, quasi edipico, fra le generazioni, che noi rappresentiamo anche nel contrasto tra il coro di anziane e il séguito giovanissimo e divertito di Ippolito, ma che soprattutto prende corpo nel dialogo terribile e scioccante fra Ippolito e Teseo, in cui il padre scaccia il figlio che ancora sull’orlo della rovina cerca in tutti i modi la sua approvazione.
Mentre crolla la casa di Teseo, vediamo crollare anche la sua famiglia, e la sua identità. La responsabilità è tutta di Afrodite, e della sua forza più devastante: Eros».
Paul Curran