La mia notizia esplode… in ritardo e su altri giornali: perché? Come comportarsi?

by Redazione
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uno squalo insegue un pesciolino

Più di una volta, negli ultimi tempi, bravi colleghi giornalisti hanno riportato con netto anticipo notizie dal sapore di scoop che, però, non prendono il volo come dovrebbero. La situazione diventa maggiormente imbarazzante quando la stessa notizia, a distanza di giorni, settimane e talvolta mesi, diventa mainstream e non sulla propria testata, webzine o blog.

Una questione particolarmente sentita, ne sono a conoscenza tutti coloro che operano nell’informazione e anche chi nella propria rete social vede redattori, collaboratori di testate giornalistiche e così via.

Proprio sui social, spesso, sui profili personali questi redattori ne reclamano la paternità / maternità, ottenendo però visibilità solo da parte degli stessi addetti ai lavori.

Questo porta a identificare una serie di corresponsabilità di questo modus operandi sinceramente odioso e che sminuisce un lavoro professionale serio. Corresponsabilità che includono anche l’autore dell’articolo originale e il giornale per cui scrive. Del resto, parafrasando un vecchio adagio: “Quando due persone si lasciano, la colpa non è mai di uno solo ma di tutti e tre“.

Internet e “il pesce grande che mangia il pesce piccolo”

La prima, obbligatoria, riflessione riguarda il modo in cui le notizie oggi vengono divulgate. Soprattutto, gli algoritmi con cui i social e i motori di ricerca propongono i contenuti (notizie nel nostro caso).

lettore di giornale su panchina nel verde

L’autorevolezza di testate giornalistiche nazionali difatti è componente fondamentale anche in Rete.

I paradigmi online si sono affinati e – a differenza di decenni fa – chi oggi fa partire il suo progetto editoriale giornalistico deve fare i conti con il fatto che per farsi notare deve sbracciarsi in un mondo sovraffollato in cui i “grandi” la fanno da padrone.

Se da un lato il proliferare di “blogghetti” testate copia-incolla costringe la Rete a regolarsi anche in base al blasone e all’affidabilità dei big (soprattutto nel suggerire all’utente-lettore un contenuto), dall’altro rende estremamente complesso per le nuove realtà farsi spazio. Questo penalizza chi – in questo panorama – parte da zero ma lo fa con professionalità, competenza e soprattutto contenuti originali.

Da questo punto di vista, è complesso far valere il proprio lavoro pregresso, soprattutto quando il big in questione si appropria di contenuti (multimediali e meno) senza nemmeno preoccuparsi di citarne fonte o quant’altro.

Però qualcosa si può fare.

Contattare la testata, invitare al collegamento sulle proprie pagine (anche questa prassi è desueta per i deskisti, senza sapere che citare altre testate aiuta a costruire link building e non è un invito all’utente a informarsi altrove). Utilizzare gli strumenti online di commento e condivisione attraverso profili pubblici e aziendali ad esempio crea autorevolezza.

Il vero e proprio “furto” di contenuti testuali e non

In caso di palese furto, poi, è possibile attivare canali istituzionali come quello dell’Ordine dei Giornalisti. Una modalità che però spesso chi opera nel settore – soprattutto quando non è coperto da una grande realtà alle spalle – tende a non fare. Salvo poi sfogare la propria – giusta – frustrazione attraverso altri canali (intimi), appunto.

furto di contenuti

Tempo addietro – per dirne una – un’insurrezione degli utenti comuni in Rete con tanto di hashtag guerrilla andò a colpire un noto gruppo editoriale “reo” di utilizzare contenuti altrui su piattaforme social quali Twitter e YouTube scaricandoli e inserendoli nelle proprie piattaforme online.

Ricordiamo, tra l’altro, che la proprietà intellettuale resta, anche se si cedono i diritti di un contenuto alla piattaforma social. Una recente conferma ce la offre il Tribunale di Roma che con una sentenza (link all’articolo di Repubblica) ha riconosciuto a un giovane fotografo il risarcimento per l’utilizzo di foto scattate nei locali e pubblicate su Facebook che erano state riprese da organi di stampa come “immagini generiche di movida“.

Nella sentenza viene chiarito che la pubblicazione di una fotografia nella pagina personale di Facebook, in mancanza di prove contrarie, costituisce “presunzione grave, precisa e concordante” della titolarità dei diritti fotografici in capo al titolare delle pagine nelle quali sono pubblicate.

Perché gli altri si e io no?

Una domanda – però – se la deve porre anche l’autore del contenuto che abbiamo definito originalesono sicuro di aver utilizzato i giusti canali per dare visibilità al mio lavoro?

Un decano del giornalismo tempo addietro affermò: “Una notizia non scritta non è una notizia”. Volendo riportarla all’attuale panorama digitale, si può parafrasare con: “Una notizia non diffusa non è una notizia”.

Diffondere notizie, oggi, non può prescindere dai mezzi che si utilizzano per farlo. Il rischio è che il nostro bellissimo lavoro resti un appunto su un pezzo di carta e chi arriva dopo di noi, attraverso canali che noi non abbiamo saputo utilizzare, riesca a valorizzarlo.

Ci sono due modi per approcciarsi a questa tematica:

  • Il creatore del contenuto deve occuparsi – o quantomeno conoscere le dinamiche – della diffusione della notizia. Qualcuno potrebbe obiettare “Il mio lavoro non è questo, io sono un giornalista – fotoreporter – videomaker etc.etc.“. E avrebbe ragione, del resto. In tal caso, quindi…
  • affidarsi a dei professionisti che si occupino di comunicazione in senso lato.

Anche in questo caso, le grandi testate con colpevolissimo ritardo si stanno attrezzando, riconoscendo il valore di una corretta comunicazione social e degli strumenti per lottare sui motori di ricerca. Anche i piccoli e valorosi eroi della Rete comuni devono tenere ben presente questo aspetto quando si lanciano.

Aprire un sito d’informazione e scriverci sopra – non ci stancheremo mai di ripeterlo – non vuol dire avere un progetto editoriale.

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