Negli ultimi giorni, come moltissimi utenti avranno notato, Facebook è intervenuto contro il fenomeno delle fake news, inserendo in cima alla sezione delle News di FB una sorta di guida, con consigli agli utenti per individuare le notizie false controllando l’indirizzo della fonte o eventuali segnalazioni negative in merito.
Facebook, quindi, raccomanda ai propri utenti di fare attenzione alle fake news. Ma cosa sono esattamente? Le fake news non sono semplicemente delle false notizie, ma, come evidenzia il The Guardian, sono notizie talmente ridicole da sembrare vere, abilmente diffuse da certi media (per lo più blog gestiti da utenti anonimi), per screditare avversari politici, facendo leva, con successo, sulla paura e sull’indignazione dell’opinione pubblica. Le fake news sono diventate un oramai fenomeno inquietante, perché, come dimostrano importanti studi, sfruttano le potenzialità del web e attecchiscono con grande semplicità prosperando tra ampie fette della popolazione incapaci di distinguere una notizia vera da una falsa (fonte https://sheg.stanford.edu/upload/V3LessonPlans/Executive%20Summary%2011.21.16.pdf). Seppur infondate, hanno la capacità di influenzare campagne referendarie, scelte politiche, decisioni economiche, fino ad insidiarsi a tutti i livelli (a Montecitorio il deputato bersaniano Zaccagnini terrà una conferenza dal vago sapore antivaccinista).
Laura Boldrini e la fake news
La terza carica dello Stato risulta essere tra i politici italiani attuali più vilipesi sul web. La stessa Laura Boldrini, nel giorno dedicato alla riflessione sulla violenza contro le donne (25 novembre) ha pubblicato sulla sua pagina fan, con tanto di nomi e cognomi, alcuni dei moltissimi insulti, a sfondo sessuale, che quotidianamente le vengono rivolte. La presidentessa della Camera è, inoltre, protagonista di numerosissime fake news, che, in linea con quanto detto, seppur totalmente campate in aria, mietono tantissime vittime tra i boccaloni. E’ assai diffusa la panzana che vuole Laura Boldrini, detentrice di un potere che non ha alcuna giustificazione costituzionale, imporre il velo alle studentesse cattoliche per non mortificare le compagne di religione islamica.
Sempre sulla stessa linea, secondo un’altra, la presidentessa della Camera, su richiesta dei genitori musulmani, avrebbe chiesto alle mense scolastiche di non servire più carne di maiale. Non stupisce, quindi, che proprio Laura Boldrini sia promotrice dell’appello Basta Bufale, caldeggiato da numerose personalità famose, rivolto a operatori del web, imprenditori, media, docenti, studenti e utenti, affinché ciascuno, nell’ambito delle proprie competenze, scoraggi la diffusione di bufale. Enorme è il potere della stampa, quindi è fondamentale adoperarsi per ottenere una corretta informazione.
Sono comunque molti i professionisti impegnati a smentire queste false testate giornalistiche, tra le quali BUTAC (Bufale un tanto al chilo)
Il DDL Gambaro
Mentre l’appello lanciato da Laura Boldrini è finalizzato a sensibilizzare soggetti qualificati ed opinione pubblica sulla necessità di filtrare le fake news, in Senato, a febbraio, è stato presentato dalla senatrice Gambaro un DDL (n. 2688) per stroncare la manipolazione dell’informazione online. Tra i provvedimenti in discussione, specifiche sanzioni (reclusione e ammenda) a carico di chiunque diffonda notizie false, e l’obbligo per tutti coloro che abbiano intenzione di aprire una piattaforma informatica destinata alla pubblicazione o diffusione di informazione presso il pubblico di informare via pec il tribunale territorialmente competente. Inoltre, il testo vincolerebbe i gestori delle piattaforme informatiche a un costante monitoraggio dei contenuti diffusi attraverso le stesse.
Questo passaggio è palesemente rivolto a quelle piattaforme che ospitano gratuitamente blog online gestiti da utenti anonimi. Non essendo possibile sanzionare questi ultimi per l’impossibilità di rintracciarli, la norma responsabilizza i gestori (che dall’attività di questi pure traggono profitto), ponendo in capo a questi obblighi di controllo e di rimozione, tra l’altro nell’alveo di una soluzione già individuata dalla giurisprudenza (Sent. 54946/2016 della Corte di Cassazione), pur scontrandosi con la difficoltà di perseguire società con sede legale in remoti Stati esteri.
Lasciano, però, perplesse le sanzioni previste a carico di chi diffonde notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi, in quanto la norma andrebbe a disegnare un reato diverso dalla diffamazione (sempre perseguibile nell’ipotesi di offesa alla reputazione di una persona o un ente), che punisce i bugiardi per il solo fatto di essere bugiardi. Affermare, per esempio, che qualche seggio elettorale fornisca matite comuni sarebbe di per sé reato, pur in assenza di specifiche accuse (capito,Pelù?). Tale norma ricalca l’articolo 656 del Codice Penale, che punisce chiunque pubblichi o diffonda notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico. Come si può leggere, il fatto che non si sia verificato alcun turbamento dell’ordine pubblico non esclude di per sé l’esistenza del reato, in quanto è sufficiente che le notizie siano state in tal senso idonee (Cass. Sent. n. 9475/96). E’ evidente che tale articolo, che risente della spinta repressiva del fascismo, attribuisca al giudice grande potere discrezionale nel valutare la responsabilità dell’imputato anche in assenza di dati oggettivi. Per questo motivo, non stupisce che abbia avuto effettiva applicazione fino agli ’70. Nonostante ciò, il DDL Gambaro vorrebbe addirittura punire chi diffonde false notizie semplicemente perché sono false. Facile capire che impatto avrà un divieto del genere in un paese in cui si prescrivono, in media, 150mila processi all’anno: o resterà lettera morta, svilendo ulteriormente così la serietà della giustizia, o sottrarrà risorse alla lotta alla criminalità.
Le identiche perplessità nascono dalla lettura dell’altro articolo in discussione, il quale, ricalcato sul modello dell’articolo 265 del Codice Penale, punisce chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possono destare pubblico allarme, o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica. Ha senso estendere ai tempi di pace una norma espressamente disciplinata per i tempi di guerra? Come verificare se e in quale misura una campagna propagandistica possa fuorviare settori dell’opinione pubblica o recare nocumento agli interessi pubblici? Il rischio è che tale norma, che pure potrebbe avere un senso nei momenti assai delicati delle fasi belliche, colpisca al cuore il diritto di parola, stroncando a prescindere i mezzi di informazione e le forze politiche non allineati, per gli stessi motivi sopra riportati. La norma andrebbe infatti inserita tra i delitti contro la personalità dello Stato, costruzione ideologica di ispirazione fascista che comprenderebbe gli interessi autonomi e prevalenti rispetto a quelli della collettività (Le Garzantine del diritto), ritenuti oramai anacronistici da numerosi e autorevoli giuristi. Per questo motivo, è assai più sensato coinvolgere la stessa opinione pubblica e gli operatori del web in questa operazione anti fake news, piuttosto che impiegare lo strumento legislativo per creare nuove figure di reato e intasare la giustizia costringendola a dare la caccia ai fantasmi del web. Questo rischio è assai concreto, considerando, inoltre, l’obbligo informare il tribunale dell’apertura dei siti web, con la conseguenza che il personale di cancelleria dovrebbe prendere nota della migliaia di email arrivate ogni anno e l’autorità giudiziaria perseguire gli inadempienti.
La svolta di Google
La guerra contro le fake news sembra essere a una fase di svolta: da pochissimi giorni, infatti, Google ha reso disponibile anche per l’Italia l’etichetta Fact Check che dovrebbe permettere agli utenti del web di discriminare tra articoli contenenti informazioni non veritiere e articoli con fonti verificate e quindi autorevoli.
Con migliaia di nuovi articoli pubblicati online ogni minuto di ogni giorno, la quantità di contenuti con cui si confrontano gli utenti può risultare eccessiva. E purtroppo, non tutti questi contenuti sono aderenti ai fatti o veri, rendendo così difficile per i lettori distinguere i fatti da ciò che è falso. Ecco perché ad ottobre, insieme ai nostri partner di Jigsaw, abbiamo annunciato che in alcuni Paesi avremmo iniziato a consentire agli editori di mostrare l’etichetta Fact Check in Google News. Questa etichetta consente di identificare in modo più immediato gli articoli di verifica dei fatti, si legge dal blog di Google Italia.
Un modo, quindi, per rendere maggiormente identificabili i contributi che non forniscono contenuti utili ai lettori e che al contrario, monetizzano sulla disinformazione speculando sugli introiti pubblicitari tramite banner.
Per la prima volta, quando viene effettuata una ricerca su Google che restituisce un risultato che contiene la verifica dei fatti di uno o più affermazioni pubbliche, questa informazione verrà chiaramente visualizzata nella pagina dei risultati di ricerca. Lo snippet mostrerà informazioni sulla dichiarazione verificata, da chi è stata fatta e se una fonte ha verificato quella particolare dichiarazione, spiega ancora il blog Google.
Si tratta quindi di un controllo incrociato, di verifica delle fonti da parte di altri editori o da organizzazioni specializzate nel fact checking in modo da rendere l’utente in grado il più possibile di scegliere immediatamente quale articolo preferire e quale invece ritenere poco attendibile.
A prescindere dai provvedimenti che si intendano prendere, risulta fondamentale insegnare agli utenti a sviluppare capacità critiche, per questo motivo l’Ocse di inserire le competenze critiche nelle metriche di valutazione degli studenti dei test Pisa, perché, come ha detto Andreas Schelicher, direttore dei programmi di valutazione delle competenze scolastiche dell’OCSE, saper distinguere ciò che è vero da ciò che è falso è oggi diventata una competenza fondamentale.
Gloria Esposito e Danilo De Luca