Dal 10 aprile al 6 maggio debutterà al teatro San Ferdinando La Cupa – Fabbula di un omo che divinne un albero scritto, diretto e interpretato da Mimmo Borrelli.
La Cupa
In un non-tempo, Crescenzo è ritornato a Torregaveta sotto falso nome per rivendicare giustizia, egli è infatti il figlio scomparso di Giosafatte ‘Nzamamorte (Mimmo Borrelli), possidente di Torregaveta che si è fatto strada usurpando la fortuna a Tommaso Scippasalute.
Al contempo viene raccontato il nefasto innamoramento tra Maria delle Papere (Marianna Fontana) e Mussasciutto, figli dei suddetti cavatori. I due neo sposi vengono allontanati a causa dell’odio che le rispettive famiglie provano reciprocamente, sentimento che spinge Scippasalute e sua moglie Censina, una megera, ad usarli come pedine di un subdolo gioco atto a nascondere i loro cupi misfatti, sepolti sotto i massi della stessa cava – cadaveri di bambini violentati e brutalmente uccisi, tra cui lo stesso fratello di Crescenzo, rifiuti tossici che inquinano la madre terra e altre prove di crimini analoghi di cui si narra.
A mano a mano tutti personaggi vengono spinti verso il sonno eterno, tranne ‘Nzamamorte (l’uomo che frega la morte) che dopo la sua dipartita ritorna da mutaforma – un albero probabilmente – ravveduto, sofferente, per l’aver accettato la responsabilità di padre troppo tardi, per ascoltare la verità dalla bocca di suo figlio Crescenzo, e trascinare via con sé Scippasalute, portando giustizia in un mondo ormai logorato dalla menzogna.
La voragine della Cupa quindi si chiude, portando dentro di sé le bestie, separando il mondo dei vivi da quello dei morti.
La Cupa – la recensione
Lo spettacolo narra di una deriva contemporanea in cui la figura paterna viene deformata e ogni dettaglio è un omaggio alla terra. Come afferma Borrelli nel comunicato stampa Creare vita, essere pronti ad essere padri: divinità minori di una società migliore; è ancora auspicabile? Mortificando in modo immanente e determinante il territorio, l’incoscienza dei padri diviene metafora della madre terra violata, colpevoli di lasciare solo macerie in eredità ai propri figli.
Un buio totale cala lo spettatore nella scena quasi come se ne facesse parte. Lo scenario – secondo il disegno di Luigi Ferrigno – è rappresentato come un limbo grigio, un purgatorio, a tratti scintillante, data la natura vulcanica della terra di cui si racconta, nel quale i personaggi della vicenda fluttuano come dei fantasmi in balia dei rimorsi e dei rimpianti. A fare da padrone sul palco vi è un’enorme pianeta grigio-azzurro, emblema della montagna di tufo sovrastante la tanto bramata Cava, ma anche raffigurante il passaggio nel regno dei morti. I protagonisti sono vestiti di stracci – ideati da Enzo Pirozzi – e anche questi si rifanno alle ambientazioni, essendo anch’essi prevalentemente grigi macchiati di terra e fango, palese rimando al lavoro di scavatori. La vera e propria magia di questa mise en scène avviene anche grazie alle luci – disegnate da Cesare Accetta – che narrano visivamente la mutazione della madre terra calpestata e che si lega alle sensazioni provate dai protagonisti, in un vero e proprio gioco di luci e colori. Quello che trasporta però lo spettatore in questo non-tempo è il linguaggio del corpo degli attori, fatto di danze folcloristiche accompagnati da versi cantilenanti, con le musiche tribali, ideate e suonate da Antonio Della Ragione.
La Cupa – il cast
Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale ed è interpretato da Mimmo Borrelli (Giosafatte ‘Nzamamorte), Maurizio Azzurro (Matteo Pagliuccone), Gaetano Colella (Innocente Crescenzo), Veronica D’Elia (Rachela), Renato De Simone (Vicienz Mussasciutto), Gennaro Di Colandrea (Tummasino Scippasalute), Paolo Fabozzo (Biaso Settanculo), Marianna Fontana (Maria delle Papere), Enzo Gaito (Pacchione), Geremia Longobardo (Sciarmazappe), Stefano Miglio (Ciaccone), Autilia Ranieri (Cenzina re Pupella).
Per le foto si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Stabile