“La leadership nella Pubblica Amministrazione. Il caso del penitenziario di Lauro”

by Comunicato Stampa
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Testo edito da Europa Edizioni è l’opera prima di Valentina Soria

Un lavoro che contiene così tanta umanità che risulta difficile inquadrarla in una categoria, la saggistica. L’autrice spazia dal campo organizzativo e amministrativo a quello psicologico, filosofico e spirituale.

Attraverso questo lavoro la giovane giornalista napoletana ma residente a Pozzuoli, si propone di mostrare, partendo dall’analisi dei meccanismi di governance della PA in generale, per arrivare all’istituzione penitenziaria in particolare, quanto il cambiamento che interessa le organizzazione, private e pubbliche,  chiamate a ridefinire le proprie pratiche e i propri assetti, sia prima di tutto un cambiamento di ordine culturale, che deve partire dalle persone, dai loro valori, dal loro modo di vivere e di percepire l’organizzazione.

Mentre sembra non esserci più spazio, né tempo per l’uomo, nell’era della globalizzazione e dell’accelerazione dei processi, si avverte come indispensabile nei contesti aziendali un recupero di “umanità”, anche lì dove non se n’era mai avvertito il bisogno: negli ingranaggi della burocrazia della Pubblica Amministrazione. Gestire le persone quale risorsa e non vincolo è la sfida principale nell’impresa che cambia, sembra suggerire l’autrice. Occuparsi della Pubblica Amministrazione significa imbattersi in un complesso intreccio di spinte al cambiamento e di resistenze, di ritardi e di risultati importanti, nonostante gli sforzi legislativi verso una sorta di managerializzazione gestionale del pubblico.

 Per riformare l’agire pubblico, secondo la tesi portata avanti dall’autrice, non bastano riforme legislative, tagli alle spese e agli sprechi, la Pubblica Amministrazione ha bisogno di una leadership creativa e partecipativa, meno autoritaria e legata al formalismo delle regole, che generi un “motore” di cambiamento a 360°, un leader pronto a rischiare, ad investire nel percorso professionale la propria soggettività, che sappia comunicare la vision e coinvolgere nella mission sfidante, ottenendo la disponibilità degli attori organizzativi a mettersi in discussione, a definire obiettivi insieme alla direzione in quanto partner decisionali, sempre più leader di sé stessi, ed è la capacità di “fare squadra”, la qualità principale del leader, consapevole che il successo è un processo collettivo.

Al centro del saggio troviamo l’importanza di nuove forme di leadership partecipativa  e riflessiva, la formazione-empowering come partner evolutivo e valore aggiunto, da portare nel cuore dell’agire dirigenziale, e lo sviluppo di processi creativi basati su team di lavoro, per la crescita dei componenti dell’organizzazione e per migliorare l’apprendimento, che dovrebbero essere incrementati in un esempio di Pubblica Amministrazione quale l’Istituzione carceraria chiamata a ridefinire le proprie modalità operativo-gestionali, se vuole effettivamente restituire alla società soggetti sani e ridurre al minimo il rischio di recidiva.

Se è vero che la civiltà di una nazione si vede dallo stato delle sue carceri allora dall’analisi storica emergerebbe un  sostanziale fallimento della prigione moderna, in cui l’obiettivo del reinserimento nei fatti si è quasi ridotto a mero slogan burocratico, sebbene l’art.27 della costituzione reciti che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Una nuova mentalità è possibile, per far sì che l’inflazione carceraria non sia una fatalità ineluttabile e Valentina Soria ne mostra un esempio tangibile che esiste già, come “avanguardia” sul territorio campano.

E’ la Casa Circondariale di Lauro ad Avellino. L’Istituto, quando è stato realizzato il lavoro di reportage dell’autrice, contava 50 detenuti e accoglie un’utenza maschile di età compresa tra i 21 e i 45 anni, tutti tossicodipendenti a basso indice di pericolosità, condannati già in primo e con una pena da scontare residua compresa tra 1 e 7 anni.  Si tratta un vero laboratorio di empowerment e creatività, che sin dalla sua nascita nel 93’ ha cercato di potenziare la sua mission riformatrice facendo “rete” sia all’interno che all’esterno, per attivare sinergie e favorire la nascita di reti integrate territoriali fra pubblico e privato per la messa in opera di percorsi per la piena integrazione lavorativa e sociale degli ex reclusi. Un esempio virtuoso di come  il carcere possa scrollarsi di dosso la mistica della sorveglianza, la tendenza a custodire, confermata dai numeri (un poliziotto per ogni due detenuti in media, 1 educatore per circa 200 detenuti). Viene attuato un nuovo sistema di gestione e di relazioni in cui il lavoro d’èquipe è un punto di forza.

La Casa Circondariale di Lauro ha messo in atto, con enormi sforzi finanziari e umani, una serie di “progetti di recupero” personalizzati, per sviluppare le singole potenzialità, che  hanno come obiettivo prioritario l’intervento sulle competenze relazionali, puntando sul risanamento dei rapporti familiari. L’innovatività del progetto sta nel fatto che i giovani partecipanti sono essi stessi protagonisti del loro cambiamento attraverso un forte clima relazionale e di confronto,  lavoro di gruppo, ma anche di progettualità vera e propria, collaborando essi stessi alla progettazione delle attività formative con gli educatori-tutor, fondamentali per l’orientamento dei detenuti dentro e fuori il carcere.

C’è una convinzione profonda che accomuna tutti e che emerge dalle interviste avute con direttore, capo-area. educatrice, comandante, detenuti: quando si riesce a realizzare insieme un progetto comune, quando si crea un clima di squadra all’interno della struttura si spezza il circolo vizioso sovrano-suddito, si esce dai rigidi schemi imposti dai ruoli, ognuno si sente artefice del proprio cambiamento, il comandante non si limita più a controllare, ma partecipa attivamente ai lavori. E’ quando il percorso interno di accrescimento della creatività personale diventa patrimonio di più persone, quando  l’esterno entra dentro e viceversa  che si crea rete e scambio reciproco, quello che accade con le scuole del territorio per esempio con i progetti sull’educazione alla legalità, che prevedono incontri tra studenti e una rappresentanza di detenuti. Uno scambio  favorito anche dalla redazione collettiva all’interno dell’istituto  del mensile “anagramma”, che diventa terreno di confronto e relazione. Ogni laboratorio attivato ha una mission in più: sviluppare l’aspetto socializzante.

Fondamentale il lavoro in gruppo, che ricrea una piccola comunità di pratica, che mira a trasmettere l’esperienza e la conoscenza da un componente all’altro del gruppo. L’offerta formativa è composta da –laboratorio teatrale,di informatica, di ceramica, di video-maker per la produzione audiovisiva. L’intento è far interagire l’esperienza carcere con l’esperienza cinema, di far rivolgere lo sguardo del detenuto su se stesso e sul mondo e del mondo sulla propria parte maledetta, rimossa, un meta-carcere, che parlando di sé si riscopre e si rigenera. Importantissimo il laboratorio di falegnameria e fabbro, diretto da professionisti del settore, che permette di acquisire un forte senso di responsabilità e impegno. Vengono realizzati manufatti per conto di società esterne e una ditta  provvede all’assunzione di un certo numero di detenuti, tra i più meritevoli, promuovendo un circuito sinergico tra struttura penitenziaria e mondo del lavoro. Un progetto, particolarmente stimolante e audace è stato chiamato “Le ali della libertà” ed ha riguardato la realizzazione di un elicottero in legno, brevettato (collaudo) e commercializzabile.

Ognuno insomma è un knowledge worker chiamato a migliorare l’intero processo.  Ecco che quindi gli studi sull’intelligenza emotiva, sulle dinamiche di gruppo e di coaching, sullo sviluppo e l’importanza della creatività per migliorare l’apprendimento diventano la nuova “ Bibbia manageriale” per i più alti ruoli , quanto per le stesse persone che popolano l’organizzazione carceraria, ribadendo la centralità delle relazioni umane. Perché ciò sia possibile, come emrge dalle interviste riportate nell’opera, “è necessario un impegno quotidiano, fatto di tempi”significativi”, di lavoro, di obiettivi da raggiungere”. I detenuti mostrano una grande riconoscenza alla struttura, i progetti rappresentano una grande sfida, perché ci si scontra con i propri limiti e si impara ad affrontarli e a non deviarli.

Nell’esperienza dei detenuti si percepisce che è radicalmente mutata la loro stessa idea di carcere, grazie all’accoglienza, alla passione,alla partecipazione che hanno trovato. E’ risultato di estrema importanza dare la possibilità al condannato di proseguire il percorso di scolarizzazione, quanto di realizzare i propri progetti, non importa di che portata, l’importante è che l’aspetto della progettualità non vada a scomparire o a non essere stimolato a causa della restrizione di libertà, perché è da qui che può partire la riprogettazione della propria vita.

Mentre aspettiamo l’evoluzione legislativa sulla questione carceraria in italia , nessuno, soprattutto in posizione di vertice, dovrebbe dimenticare che gestire persone,a partire da noi stessi, serba infinite contraddizioni, avversità, difficoltà,  è forse la sfida più impegnativa, ma anche più stimolante ,che vale la pena intraprendere in qualsiasi contesto. Un testo che insegna a conoscere e comprendere un “mondo fuori dal mondo”.

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