Sanremo 2018: il festival dei miracoli

by Marco Margarita
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Sanremo

SANREMO 2018Ieri si è conclusa tra grandi applausi e consensi la sessantottesima edizione del Festivàl, evento che, come ogni anno, mi ha tenuto attaccato al divano privandomi per una settimana della vita sociale e, soprattutto, degli spritz di Cammarota e di Peppe (per chi non li conoscesse, luoghi del centro storico napoletano atti, attraverso la loro vasta disposizione di alcool, a favorire attimi di gioia impagabili). Che dire di questa manifestazione? In primis, sono molto risentito con la Rai per non avermi scelto a fianco di Michelle nella conduzione. Avrei sicuramente fatto meglio di Baglioni che, con tutta la stima per il suo egregio mestiere cantautoriale, ha suscitato in me in veste di presentatore sentimenti non propriamente esprimibili attraverso la tastiera. Non gli ho perdonato – lo confesso – l’esordio della prima sera durante il quale ha asserito che le canzoni fossero un’arte povera da consegnare ai posteri. Carissimo, ma che cosa volevi dire? Perché questi paroloni e, soprattutto, perché questa tua rigidità? Una statua sarebbe stata più espressiva. E poi mi rivolgo ai superospiti: perché ogni volta che il signor Claudio cantava un suo capolavoro lo interrompevate continuamente? La Leosini che lo interrogava, la Sciarelli che lo freddava… ma insomma, volevate processarlo? Non era necessario: qui i processi li faccio già io tra un balletto e l’altro nelle stanze della mia dimora. Per quanto riguarda Favino, mi sento di paragonarlo ad uno studente capace di sorprendere il docente: mi ha stupito. Non avrei scommesso su di lui come conduttore, per quanto sia un grandissimo attore, e invece ha rivelato una grande sensibilità, culminante nel monologo di sabato riguardo ai migranti che è stato davvero da brividi in ogni dove. Poi – diciamoci la verità – questo è stato il festival dei miracoli: gli ultimi sono diventati primi (meritatamente data l’indiscussa qualità della canzone di Ultimo) e i passibili di squalifica Meta-Moro hanno addirittura vinto. Da oggi, infatti, gli asini voleranno, Francesco Monte non fumerà più spinelli e, forse, Marco Margarita diverrà famoso, nonostante sia bassino, bruttino e non abbia talento. Ma, si sa, la felicità dura solo un briciolo di secondo e bisogna tornare alla realtà. Pertanto, ecco a voi le attesissime (ma da chi?) pagelle dei big, che elaboro alacremente mentre indosso degli occhiali vintage finti e una tuta verde che esibisco anche nelle mie uscite serali. Buon divertimento!

  1. Luca Barbarossa – Passame er sale. Luchino propone una ballata quasi interamente in dialetto romanesco sulla quotidianità del suo rapporto con la moglie. A distanza di giorni, non riesco a capire se mascheri un significato profondo o sia semplicemente un inno burino e coatto che, daje daje, rompe anche un po’ le scatole. Propenderei per la seconda opzione. Voto: quattro e mezzo.

  1. Red Canzian – Ognuno ha il suo racconto. Ex interprete dei Pooh, Red sostiene, con un vocione che tocca vette albaniane, che ognuno di noi abbia una storia e un proprio modo di vivere, concetti che neanche il Leopardi del ciclo di Aspasia avrebbe saputo esprimere con lo stesso pathos. Carissimo, io sarei red solo dalla vergogna. Ritenta e sarai più fortunato. Voto: tre e mezzo.

  1. The Kolors – Frida (mai, mai, mai). L’altissimo Stash – e già per questo non può essermi simpatico – propone un inno agli amori occasionali, prendendo spunto dalla biografia di Frida Kahlo. L’idea è originale, il ritmo è incalzante, ma c’è qualcosa che non mi convince nel testo. Sembra un’insalata russa molto condita e poco saporita, di quelle confezionate, e io a Natale mangio quella di mia nonna che è di qualità. Rimandati, ma non irrimediabilmente. Voto: cinque.

  1. Elio e le Storie Tese – Arrivedorci. Con questa canzone, gli Elii ci vogliono salutare definitivamente. Ecco, io non vedevo l’ora scomparissero. Orribili, stucchevoli, patetici. Ma come mai? Come diceva un mio carissimo professore liceale, un voto di stima. Voto: tre meno meno.

  1. Ron – Almeno pensami. Il talento di Lucio Dalla rivive magicamente attraverso la voce di Ron, rievocando la storia di un amore difficile. Un plauso immenso e complimenti: di fronte alla bellezza ogni commento è superfluo. Voto: otto.

  1. Max Gazzè – La leggenda di Cristalda e Pizzomunno. Questa canzone non è semplicemente una canzone: è una fiaba che, in maniera toccante ed elegante, attraverso la vicenda di Pizzomunno e Cristalda, racconta le nostre tradizioni, la nostra letteratura, la nostra cultura tipicamente italiana, quella che ancora e per fortuna, sebbene trafitta, non esita a scomparire. E Gazzè è stato un ottimo Ulisse, tentato e tentatore al tempo stesso. Sublime. Voto: otto.

  1. Annalisa – Il mondo prima di te. Ma quant’è bella e brava questa ragazza? Uno splendore per gli occhi e per le orecchie. Noi maschietti ne siamo tutti innamorati. La canzone ha una sua organicità e armonia, sebbene non sia eccezionale. Felice per il suo terzo posto, forse non pienamente meritato, ma conferito ad una ragazza pulita e ineccepibile che dà sempre grandi soddisfazioni. Voto: sei.

  1. Renzo Rubino – Custodire. Canzone criticatissima. Ma avete intuito la forza del testo e, soprattutto, avete notato quanto la musica sembri evocare i ritmi di un litigio di coppia che nasconde in fin dei conti un vicendevole affetto? Sono molto adirato soprattutto nei riguardi di alcuni critici che definiscono Rubino inutilmente ermetico. Ma forse siete voi dei mentecatti. D’altronde vi è piaciuto lo Stato Sociale che avete collocato sempre in zona blu: come posso interloquire con voi? Voto: sette.

  1. Decibel – Lettera dal Duca. Enrico Ruggeri: una domanda. Ma perché questa reunion? Nostalgia della giovinezza? Eppure ti immaginavo un gran chiavettere. La canzone, nonostante inneggi a Bowie, non mi sembra un buon fish and chips: mi pare solo un tentativo poetico non riuscito. Peccato, i decibel me li hai fatti venire ascoltandola. Voto: quattro.

  1. Ornella Vanoni, Bungaro e Pacifico – Imparare ad amarsi. Ma Bungaro e Pacifico esistevano in questo pezzo? Sono scomparsi di fronti alla grandezza di Virginia Raffaele… ah, era la Vanoni? Non me ne ero accorto! Comunque bel pezzo, intenso e ben interpretato. P.S. Ornella, ma perché mentre Paoli cantava Una lunga storia d’amore non sei piombata sul palco e non gli hai confessato di voler fare ancora l’amore con lui? Sarebbe stato un momento di trash assoluto per la nostra Barbarella Carmelita D’Urso, che ormai campa solo con Al Bano e la Lecciso. Che delusione! Voto: sette.

  1. Giovanni Caccamo – Eterno. Grazie, Giovanni. Grazie per aver smorzato ogni mio entusiasmo, grazie per avermi intristito e spossato, grazie per questo flagello che hai scritto. Te ne sarò per sempre grato. Tornatene da dove sei venuto a farti salutare dalle caprette con Heidi. E fammi guarire dall’ulcera che mi hai causato entro luglio: ho gli esami di Stato e sono la mia unica fonte di guadagno! Voto: due.

  1. Lo Stato Sociale – Una vita in vacanza. Vorrei non esprimermi, ma mi tocca. Sono stati la mia mira preferita di questi giorni e quasi nutro affetto nei loro riguardi, ma ogni volta che li guardo ho necessità di rimettere e di sperare che sia tutto un sogno. Ridicoli, pagliacci, ironici al limite dell’idiozia. Li ho ribattezzati Stato d’espatrio. E spero che chiunque salga il 4 marzo indica un allontanamento coatto e immediato dall’Italia per loro. Poi li vado a trovare, eh, ma meritano di pagare per questa boiata pluripremiata e di meditare lontano da qui, loro e la vecchia. Inqualificabili. Voto: uno.

  1. Riccardo Fogli e Roby Facchinetti – Il segreto del tempo. Mi fanno quasi tenerezza, confesso. Fogli e Facchinetti sono due che ci hanno creduto e che hanno conosciuto il successo, ma il segreto è che il loro tempo è finito, da tanto e non si rassegnano. Un mezzo voto in più per la caparbietà. Voto: tre.

  1. Diodato e Roy Paci – Adesso. Indubbiamente originali, Roy Paci e Diodato hanno portato un brano anti-convenzionale, che invita semplicemente a vivere e a distaccarci dallo schermo dei nostri smartphone. Andrebbe tutto bene, se non fosse per il ritmo stridente ed eccessivamente ripetitivo del ritornello, che è impietoso come il suono della sveglia delle sette il lunedì mattina. Non male, ma non del tutto convincente. Voto: sei più.

  1. Nina Zilli – Senza appartenere. Nina Zilli: perché? Sei bella e anche brava, ma questa nenia femminista scritta malissimo ce la potevi risparmiare. Mi dispiace, ma non posso avere pietà. Voto: tre meno.

  1. Noemi – Non smettere mai di cercarmi. Noemi, ma questa canzone è rivolta al tuo seno che, non essendo esattamente prosperoso, non riesci a trovare, sebbene tu abbia voluto deliberatamente esibirlo? No, perché se fosse così potrei darti una valutazione migliore. Queste sono indubbiamente solo parole, come affermavi in un tuo capolavoro, ma inducono alla parolaccia facile. Voto: due e mezzo.

  1. Ermal Meta e Fabrizio Moro – Non mi avete fatto niente. I due fascinosi cantautori l’hanno spuntata contro tutto e tutti. Tuttavia, al di là della questione del presunto plagio, sono due studenti Meta e Moroche non ingannano il professore, ossia il sottoscritto. La canzone è banale, un compitino portato a casa ma senza né arte né parte. Non è vero che non mi avete fatto niente: mi avete urtato e  per questo meritate un’insufficienza. Furbetti. Voto: quattro.

  1. Mario Biondi – Rivederti. Mario, la tua voce… uhmmm… adorabile. Potrei cambiare sponda per te e per questa tua canzone che è il lento che vorrei ballare, anche con te. Mi vendo, non ho paura di niente. Sono innamorato. Voto: sette.

  1. Le Vibrazioni – Così sbagliato. Sono tornate Le Vibrazioni: che gioia! Tuttavia potevano aspettare un altro annetto, un altro Sanremo. Questo pezzo è un collage di tante altre canzoni e sembra scritto da Checco dei Modà, del quale sono stato sempre incallito detrattore. E’ stato così sbagliato per voi partecipare a Sanremo: non posso perdonarvi. Voto: quattro.

  1. Enzo Avitabile e Peppe Servillo – Il coraggio di ogni giorno. Simpatici e bravi, per carità. Partenopei: altro punto a loro favore. Ma quanta retorica in questa canzone? Il sound è anche gradevole ed evocativo, ma non ho visto altro. Tuttavia meritano un trattamento di favore per l’impegno. Voto: quattro più.

Questo è quanto. Adesso le luci della ribalta si spegneranno una ad una e torneremo alla vita di sempre. E, ovviamente, penseremo già al prossimo Sanremo, che condurrà sicuramente Malgioglio senza un cast perché basterà da solo a mandare avanti la baracca. Baci stellari a tutti voi. Vi amo.

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