Cresce l’attesa per la riapertura della sezione egizia al Museo Archeologico Nazionale di Napoli in programma per il prossimo 7 ottobre 2016. Il rapporto tra Napoli e l’Egitto però, non si esaurisce qui. In una città da sempre segnata dalle dominazioni straniere, in un meltin’ pot lungo millenni, il popolo dei Faraoni e la sirena Partenope hanno intrecciato un legame spesso sottovalutato.
(nella foto: la Statua del Dio Nilo nei pressi di San Domenico Maggiore, a Napoli)
I LUOGHI DELL’EGITTO A NAPOLI
Presso piazza San Domenico Maggiore si stabilì in età imperiale una comunità di mercanti e marinai egiziani provenienti da Alessandria d’Egitto: sul decumano inferiore sono testimoniati una Regio (quartiere) Nilensis e un vicus Alexandrinus (attuale Via Nilo). Ricorda questo antico rapporto tra Napoli e l’Egitto la statua in marmo bianco di Piazzetta Nilo. Eretta dalla comunità alessandrina tra II e III secolo d.C., la scultura, dimenticata per secoli, fu riscoperta, acefala, in epoca medievale. L’opera, secondo le cronache antiche, simboleggiava la città madre che allatta i propri figli: da qui il nome Cuorpo ‘e Napule (“Corpo di Napoli”), che si estese al Largo dove è tuttora ubicata. Nel XVII secolo lo scultore Bartolomeo Mori aggiunse alla statua la testa barbuta del dio Nilo, sostituì il braccio destro e vi aggiunse una cornucopia, la testa di un coccodrillo presso i piedi, una sfinge sotto il braccio sinistro e i putti. Il basamento risale al XVIII secolo.
Il culto di Iside, la divinità egizia più conosciuta e venerata nel mondo antico, arrivò a Napoli grazie ai mercanti. Ne restano ancora tracce in un’iscrizione votiva del II secolo a.C., in una statua e nel ricordo di un tempietto costruito dai devoti nella Regio Nilensis. Iside, sposa e sorella di Osiride, legata alla magia e all’oltretomba, era dea della fecondità, sposa fedele, madre sollecita e benefattrice dell’Egitto. Il culto isiaco ha lasciato un segno nella cultura napoletana, ad esempio, nel ferro di cavallo che spesso accompagna il corno nei riti scaramantici tipici del folclore. Questo sarebbe nient’altro che l’icona delle corna presenti in alcune rappresentazioni della dea, tra le quali è racchiuso il sole. Le corna sarebbero anche l’immagine del ventre materno il quale, insieme alla mezza luna, è simbolo di fertilità.
A testimoniare l’antico e sotterraneo legame di Napoli con l’Egitto ci sono in città due chiese dedicate a santa Maria Egiziaca, monaca ed eremita di Alessandria d’Egitto (sec. IV): una a Forcella, gioiello del barocco napoletano, l’altra a Pizzofalcone.
A Napoli ci sarebbe inoltre un “triangolo magico egizio”, tra Piazzetta Nilo, san Domenico Maggiore e Palazzo di Sangro. Nel convento di san Domenico studiò dal 1562 al 1565 e prese i voti Giordano Bruno, condannato a morte per eresia, il quale sosteneva che la religione cristiana fosse emanazione di quella egizia. Il Palazzo di Sangro (del quale fa parte la Cappella Sansevero, con la misteriosa statua del Cristo Velato) apparteneva a Raimondo di Sangro, alchimista, massone e studioso di esoterismo egiziano. Cagliostro, che dimorò a Napoli tra il 1773 e il 1776, creò in Francia una “Massoneria di Rito Egizio” dopo essere stato discepolo di un “Filosofo Napoletano”, probabilmente Luigi d’Aquino, massone, discepolo del principe di Sansevero. Napoli sarebbe stata quindi la culla della tradizione esoterica occidentale derivante dall’Egitto e di quella parte della Massoneria che si rifà ad essa.