Chiudi gli occhi, immagina una gioia. In questa occasione no, gli occhi erano ben aperti e hanno potuto godersi lo spettacolo, una chiacchierata tra due meravigliose persone: Paolo Benvegnù e Niccolò Fabi. L’incontro – nella splendida cornice della sala del Torno Farnese – ha come titolo “Il materiale e l’immaginario: memorie, intuizioni sul concetto di costruzione”, interessante e originale allo stesso tempo, dove due cantautori, due amici, partono dal concetto di arte intesa come risultato di un processo attraverso cui costruire un qualcosa che è il prodotto di intuizioni ed idee. È uno degli appuntamenti più attesi nell’ambito del Festival MANN, alla prima edizione, che si tiene al museo archeologico di Napoli.
Paolo Benvegnù ha in pratica “chiacchierato” con Niccolò Fabi, per poi omaggiare gli intervenuti di un unplugged di alcuni suoi pezzi.
Fabi parte dall’opportunità datagli dalla vita, dove in disparte osservava il mondo, che gli ha permesso di trarre spunto per le sue canzoni. Questo è un punto importante, perché, incalzato da Benvegnù (che pone una domanda che ha come oggetto la contrapposizione tra “leggerezza” e “pesantezza”) spiega che le due cose sono elementi che influiscono nella costruzione delle sue canzoni: la leggerezza della sua voce gli ha permesso di affrontare quello che lo stesso Fabi definisce esser pesantezza degli argomenti affrontati nelle sue canzoni, senza preoccuparsi del risultato finale. Fabi preferisce fascinare l’ascoltatore, non “fidelizzarlo”.
La conversazione continua con molta leggerezza, le domande di Benvegnù portano a spaziare nelle risposte di Fabi. Molto interessante quando si arriva a parlare del disco Ecco, album molto poetico uscito nel 2012. La domanda di Benvegnù si sofferma sull’immagine della copertina (Niccolò Fabi con un arco in mano intento a scoccare una freccia). Nel rispondere, Fabi, conferma ciò che sarebbe successo subito dopo: «nello scoccare quella freccia c’è un aspetto legato alla forza necessaria per riuscirci ma soprattutto c’è la rappresentazione della concentrazione necessaria per controllare i movimenti e per scegliere l’obiettivo da raggiungere. Scegliere vuol dire escludere il resto pur non avendo la certezza di ottenere ciò che si vuole. La meta era casa mia».
C’è spazio per affrontare anche la bellissima parentesi con Silvestri e Gazzè, due amici, prima che artisti per Fabi. Spiega come quell’esperienza gli abbia dato modo di capire che il pubblico che lo seguiva era davvero vasto, secondo lui “complice” è stato anche il fatto che i concerti si svolgevano nei palazzetti dello sport, luogo più “favorevole” per il cantautore. Questa esperienza, spiega Fabi, gli ha dato modo di aumentare la sua consapevolezza, che poi è stata la base dell’ultimo disco “Una somma di piccole cose”, considerato un po’ il punto di svolta del cantautore. Un disco intimo, registrato nella sua casa in campagna, un disco dove il cantautore sceglie di condividere parti di sé, gioie e dolori, con gli ascoltatori. Basta partire dalla copertina, la vista della vallata dalla sua finestra, per andare poi ai pezzi come “una mano sugli occhi” o “le chiavi di casa”, solo per citarne qualcuno.
Le domande di Benvegnù continuano toccando il punto della morale dell’artista, sul ruolo che deve avere un artista, la risposta di Fabi parte da un episodio avvenuto in Calabria: «la felicità scaturisce dallo stare insieme ma per farlo è necessario che tutti rispettino le regole e che quindi ognuno abbia una morale affinché ci si possa fidare reciprocamente».
L’incontro tra i due amici sul concetto di “costruzione” termina con una riflessione di Benvegnù sul pezzo di Fabi da lui molto apprezzato: Costruire. Come fa notare Benvegnù, Costruire arriva in un momento storico durante il quale: «Tutti aspettano un Godot che non arriva» e nel farlo dimenticano che “Giorno dopo giorno è/ silenziosamente costruire/ e costruire è potere e sapere/ rinunciare alla perfezione”.